Perché la gente perbene possiede armi

  di David B. Kopel

Una domenica di buon mattino, l’operaio Arthur Boone stava tornando nella sua casa di Brooklyn dopo aver fatto la spesa. Carl James, 15 anni, probabilmente camminò verso Boone, gli puntò la pistola alla nuca e gli ordinò: “Dammela!”, mentre il diciannovenne Taz Pell cominciava a frugare nelle sue tasche. Una normale domenica mattina a New York.

Boone allora estrasse la sua .44 magnum e colpì a morte i due rapinatori.

Entrambi avevano la fedina penale sporca; uno era stato arrestato per rapina appena due settimane prima. Il quarantunenne Boone, che era già stato aggredito due volte e colpito col calcio della pistola così violentemente da necessitare d’un periodo di ricovero in ospedale, venne subito arrestato.

Pochi giorni prima, a Chicago, un sedicenne già condannato per rapina irruppe in casa di Bessie Jones, una vedova novantaduenne confinata sulla sedia a rotelle. La spinse avanti e indietro ordinandole di mostrare ogni oggetto di valore. Quando uscì un attimo per confabulare col suo “palo”, essa brandì la propria Colt .38, sparò e lo uccise. Sebbene il possesso di un revolver costituisse una chiara violazione della proibizione vigente a Chicago, il pubblico ministero decise di non avviare un’indagine.

Poiché il Los Angeles Times sponsorizza normative sulle armi ancor più severe di quelle vigenti a Chicago e New York, bisogna spendere un po’ d’attenzione per quei milioni di americani che, come Arthur Boone e Bessie Jones, posseggono armi da fuoco per autodifesa.

In tutte le nazioni che sono riuscite a ottenere il favore popolare sulle leggi contro le armi, c’era sempre una condizione comune: la sicurezza pubblica. Cioè, prima di approvare leggi sulle armi, il pubblico non sentiva un gran bisogno d’avere armi perché c’era poco crimine.

Confrontate questa situazione, per esempio, nel Regno Unito all’inizio del ventesimo secolo con quella degli Stati Uniti alla fine del secolo. Non solo il governo americano non è in grado di garantire la sicurezza; il governo insiste di non avere il dovere legale di farlo. Le corti gli danno ragione, sostenendo che la polizia non ha il dovere di proteggere nessuno in particolare e non può essere ritenuta a disposizione, anche nei casi in cui la vittima è presa di mira da tempo ma s’è vista negare la protezione della polizia.

Daryl Gates ha guadagnato la notorietà nazionale per aver speso le prime ore della rivolta di Los Angeles raccogliendo soldi per se stesso, mentre le vittime erano lasciate a se stesse senza aiuto da parte della polizia. Anche nei giorni normali, la gente di Los Angeles, come quella di qualunque grande città americana, viene abbandonata a se stessa. Se un criminale attacca, è quasi certo che non vi sarà un agente intorno. Fino a quando questa realtà non cambia, decine di milioni di americani continueranno a tenere le loro pistole.

Ma non è un fatto che le pistole per autodifesa non vengano quasi mai usate? Beh, no. In un sondaggio del 1981 realizzato da Peter A. Hart per la National Alliance Against Violence, il 4% degl’intervistati affermava di aver usato la pistola almeno una volta nei cinque anni precedenti. Anche se assumiamo un solo incidente per persona intervistata, fanno 645 mila usi difensivi delle armi all’anno. Sulla base di questo dato, circa il 18% di quanti posseggono armi per autodifesa finiscono per usarle.

La ricerca del criminologo canadese Gary Mauser ha trovato tassi di usi difensivi simili da parte dei canadesi, sebbene le leggi permettano il possesso di pistole solo per usi sportivi.

Quest’anno, il criminologo della Florida State University Gary Kleck ha condotto un sondaggio più approfondito. Questionari certosini hanno consentito di dividere quelli che avevano confuso il mero possesso d’una pistola col suo uso. Le domande, poi, tenevano conto di quelle persone che avevano usato un’arma più di una volta per scopi difensivi. I nuovi dati mostravano che le armi vengono usate tra le 850 mila e i 2,5 milioni di volte ogni anno negli Stati Uniti. Nella maggior parte dei casi si tratta di pistole, e la larga maggioranza delle volte non serve sparare, ma è sufficiente brandire l’arma per spaventare l’aggressore.

I sondaggi tra i cittadini sono coerenti con questi risultati. In uno studio del National Institute of Justice sui reclusi, il 38% ha affermato che avevano deciso di non commettere un particolare crimine per paura che la vittima fosse armata.

L’America ha molto più crimine violento delle altre nazioni, eppure, stranamente, ha tassi di rapine in case occupate più bassi delle nazioni che proibiscono il possesso di armi per l’autodifesa. La migliore spiegazione è che solo in America i rapinatori corrono un rischio d’essere colpiti alto quanto quello d’essere arrestati.

Come gli agenti della Florida hanno notato, una delle ragioni importanti per cui i turisti stranieri sono vittime predilette dei rapinatori è che in Florida i cittadini addestrati e dotati di un permesso (compresi i visitatori americani) possono portare un’arma nascosta. Ma a New York e Los Angeles (e nel resto del paese se la lobby anti-armi l’avrà vinta), le leggi sulle armi mettono tutti nella medesima condizione dei turisti in Florida – prede inermi certificate dal governo.

Una politica razionale deve concentrarsi sulla riduzione del crimine aumentando la capacità dei cittadini di difendersi, specie contro i reati più gravi. La maggior parte delle proposte di controllo delle armi offrono poca speranza di ridurne l’uso criminale ma pongono una minaccia sostanziale contro il loro uso difensivo legale.

La teoria implicita del movimento anti-armi – che gli americani siano troppo incompetenti o mentalmente instabili per usare una pistola per scopi difensivi – semplicemente è smentita dai fatti. Imparare a sparare è più facile che imparare a battere a macchina. Dopo 40 ore di lezione, una persona normale è in grado di fermare la larga maggioranza degli aggressori (piantando loro due colpi nel petto nel giro di un secondo e mezzo).

Quaranta ore di addestramento, peraltro, sono molto di più di quanto molti poliziotti possano avere.

Un problema, forse il più grande, nel conseguimento di un dibattito razionale sono i mezzi d’informazione, che tendono a riferire acriticamente ogni “scoperta degli esperti” a favore del controllo delle armi. Un tipico esempio è quello della “notizia” di uno studio del New England Journal of Medicine, secondo cui possedere un’arma aumenta il rischio d’essere uccisi di 2,7 volte. L’autore, un importante epidemiologo, ha preso un gruppo di vittime di omicidi, ha identificato alcune variabile socioeconomiche e comportamentali, e le ha confrontate con un gruppo di non-vittime.

Proprio gli stessi dati che “dimostravano” il rischio di possedere un’arma, “dimostravano” pure che affittare la casa, anziché possederla, aumentava il rischio di omicidio di 4,4 volte. Forse questo significa che quando il vostro appartamento è vostro anziché in affitto, il rischio d’essere uccisi cala significativamente? Naturalmente no. Piuttosto, è più probabile che le persone in affitto vivano in un quartiere degradato o in condizioni precarie, il che le colloca in una categoria a rischio. Allo stesso modo, le persone a rischio semplicemente tendono a possedere armi più probabilmente delle persone che si trovano al sicuro. Sbarazzarsi della pistola non può mettere l’affittuario più al sicuro che acquistare la casa.

La cosa ancora più interessante è che lo studio non faceva alcuno sforzo d’indagine sul fatto che il 99% degli usi difensivi d’arma da fuoco non implicava una fatalità. Coloro che vengono uccisi sono, dopo tutto, persone per cui la protezione non funziona. Uno studio che ignori i sopravvissuti, le centinaia di migliaia di persone che si difendono con le armi ogni anno, non può dire molto sull’effetto del possesso di armi in termini di protezione.

Nonostante i limiti dello studio, quasi ogni articolo di giornale citava la cifra di 2,7 come un fatto scientifico, indubitabile. Molti criminologi pensano che lo studio sia senza valore, ma l’unico dissenso di cui s’è dato conto è quello della National Rifle Association.

Altri pseudo-fatti presentati per mostrare i pericoli del possesso di armi sono altrettanto vuoti. Se i media spendessero nella ricerca della verità un decimo degli sforzi che impiegano ad indagare sulle abitudini di Bill Clinton, la qualità del dibattito sulle armi sarebbe assai superiore.

E’ vero che in alcune case, come quelle degli alcolizzati, dei ritardati mentali o degli ex criminali, la presenza d’un’arma aumenta sostanzialmente il rischio d’omicidio. Ma anche qui, i “fatti” possono essere girati a favore delle armi: il criminale maschio ucciso dalla sua ragazza viene considerato come la vittima di “un tragico incidente domestico”, non il perpetratore d’un abuso. Ma la maggior parte delle famiglie non sono ricettacoli di violenza; al contrario, la preoccupazione della maggior parte dei possessori di armi si concentra sulla loro stessa violenza dall’esterno. Essi sanno, intuitivamente, che il governo non li proteggerà da un attacco criminale. Arthur Boone e Bessie Jones l’hanno compreso, e hanno il sostegno delle altre decine di milioni di americani che posseggono armi per auto-difesa.

 

Los Angeles Times, 26 novembre 1993

http://www.davekopel.com/2A/OpEds/Why_Good_People_Own_Guns.htm

 

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